Paolo Casciola

 

Per una storia della stampa trotskista italiana

IL BOLLETTINO D’INFORMAZIONE (1936)

 

Il testo che segue è stato originariamente pubblicato, senza alcun titolo, come introduzione a Bollettino d’Informazione, edito dai Bolscevichi-Leninisti Italiani aderenti alla IV Internazionale [n. 1, 25 giugno 1936 – n. 2, 7 agosto 1936], Quaderni Pietro Tresso (Firenze), n. 33, gennaio-febbraio 2002, pp. 3-6. In appendice vengono riprodotti i sommari dei due numeri del Bollettino d’Informazione.

 

L’unificazione dei due gruppi trotskisti italiani che, dopo la crisi del 1933-34, avevano deciso nella primavera del 1935 – autonomamente l’uno dall’altro – di applicare la tattica "entrista" preconizzata da Lev Trotsky aderendo al Partito Socialista Italiano (PSI), maturò nei primi mesi del 1936 e si realizzò poi nel maggio-giugno di quell’anno. Ricongiungendo le proprie forze, il Gruppo Bolscevico-Leninista del PSI animato da Pietro Tresso ("Blasco", 1893-1943) e il dissidente Gruppo Nostra Parola del PSI capeggiato da Nicola Di Bartolomeo ("Fosco", 1901-1946) diedero vita ad una nuova organizzazione: i Bolscevichi-Leninisti Italiani (BLI) "aderenti alla IV Internazionale" – anche se la Quarta Internazionale, sia detto per inciso, sarebbe stata ufficialmente fondata oltre due anni dopo, agli inizi di settembre del 1938 –, che si dotarono quasi subito di un modesto organo ciclostilato: il Bollettino d’Informazione.

Sul versante dell’attività politica pratica, il contesto in cui i BLI videro la luce era abbastanza scoraggiante: più di un anno di entrismo in seno al PSI – messo in atto separatamente dai due gruppi – non aveva prodotto pressoché alcun risultato positivo, e già dall’estate del 1935 essi avevano intensificato il proprio lavoro politico al di fuori delle file social-riformiste, sia in direzione del PSI massimalista aderente al centrista "Bureau di Londra", sia nel quadro del movimento contro l’aggressione dell’Italia fascista all’Etiopia. Tuttavia anche rispetto a questi nuovi terreni di intervento gli sforzi profusi non erano stati ripagati da risultati tangibili. E la famosa "Lettera aperta alle organizzazioni e ai gruppi rivoluzionari proletari" redatta da Trotsky nel giugno 1935 – che era intitolata Per la Quarta Internazionale e che poneva l’accento sulla necessità di rilanciare un’attività autonoma del movimento per la costruzione della nuova Internazionale – aveva rafforzato la convinzione dei trotskisti italiani di non dover più considerare l’entrismo come una parte fondamentale del proprio impegno politico.

D’altro canto i seguaci italiani di Trotsky erano degli ospiti sempre più scomodi per i capi riformisti che, il 14 agosto 1934, avevano sottoscritto a Parigi un patto di unità d’azione con il Partito Comunista d’Italia (PCdI) ormai definitivamente stalinizzato. Le critiche dei due gruppi bolscevico-leninisti ai vari aspetti della politica seguita dai vertici del PSI e le sempre più insistenti pressioni del PCdI affinché i dirigenti socialdemocratici italiani si sbarazzassero di questi scomodi fustigatori avevano alimentato un’atmosfera ostile nei confronti degli oppositori – atmosfera che andò via via peggiorando fino agli ultimatum antitrotskisti lanciati agli inizi del 1937 da alcuni esponenti di spicco dello stalinismo italiano (con alla testa Ruggero Grieco alias "Garlandi" e Giuseppe Dozza detto "Furini") i quali, dalle colonne del Grido del Popolo, avevano intimato ai "fratelli socialisti" l’"espulsione violenta" dei "banditi" trotskisti dal PSI e dalla classe operaia. Lo stesso Grieco aveva così ammonito i leaders riformisti: "Noi determineremo la solidarietà dell’unità d’azione e le eventuali alleanze politiche future anche sulla base di una posizione chiara di fronte al trotskismo" (citato da "Metallo" [Angiolo Luchi], "Le vin est tiré, il faut le boire." Lettera aperta al Nuovo Avanti a proposito dell’ultimatum della burocrazia sui trotzkysti membri del PSI [24 febbraio 1937], Carte Angelo Tasca, Fondazione G. Feltrinelli).

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Tornando al periodo che qui più ci interessa, va rilevato che le file dei bolscevico-leninisti italiani erano state numericamente e politicamente indebolite dalla partenza di tutta una serie di militanti per la Spagna, dopo la vittoria del Frente Popular alle elezioni del 1° marzo 1936 e, soprattutto, dopo le fatidiche "Giornate di luglio" del 1936. Nel corso del mese di marzo vi erano giunti Guido Lionello (1901-1945) – quasi certamente estensore della lettera inviata nel giugno 1936 dalla capitale catalana e pubblicata nel primo numero del Bollettino d’Informazione (cfr. infra, pp. 25-26) – e Giuseppe Guarneri ("Pino", 1913-1963). E nella seconda metà di aprile, temendo di essere espulso dalla Francia e consegnato all’Italia fascista, Di Bartolomeo era partito per Barcellona insieme alla sua compagna Virginia Gervasini (1915-1993); entrambi furono arrestati il 5 maggio e, rimessi in libertà pochi giorni dopo, furono i principali artefici della creazione del Grupo Bolchevique-Leninista di Barcellona, il primo raggruppamento trotskista ricostruito in terra spagnola dopo la rottura tra il fondatore dell’Armata Rossa e la Izquierda Comunista de España, avvenuta nel settembre 1935 in seguito alla decisione di quest’ultima di fondersi con il Bloc Obrer i Camperol per dar vita al centrista Partido Obrero de Unificación Marxista.

Anche altri militanti trotskisti italiani si trovavano già in Spagna prima dello scoppio della guerra civile, come Piero Milano e Placido Mangraviti. Tutti presero attivamente parte agli scontri armati scatenatisi a Barcellona a partire dal 19 luglio contro le truppe fedeli alla reazione. E altri ancora vi giunsero poco tempo dopo per combattere contro il franchismo e per la rivoluzione proletaria: tra essi ricordiamo non soltanto il friulano Domenico Sedran ("Carlini", 1905-1993), del gruppo di Marsiglia, e Cristofano Salvini ("Tosca", 1895-1953), ma anche – in una posizione indiscutibilmente più ambigua e defilata, e comunque per un lasso di tempo assai breve – Matteo Renato Pistone. Una prima valutazione politica della situazione spagnola venne inviata da Di Bartolomeo al Bollettino d’Informazione ad una sola settimana di distanza dall’inizio delle ostilità (cfr. infra, pp. 36-37).

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Per quanto riguarda la politica internazionale, il bollettino consacrò uno spazio rilevante anche all’evoluzione politica della Francia, paese in cui i BLI si trovavano ad operare. Il trionfo del Front Populaire alle elezioni del 3 maggio e la poderosa ondata di scioperi operai con occupazione delle fabbriche iniziata il 26 di quello stesso mese apparivano già – poche settimane prima dello scoppio della guerra civile in Spagna – come sintomi di una ripresa su più vasta scala del movimento operaio in Europa dopo le pesantissime sconfitte subite negli anni precedenti in Germania e in Austria, che avevano esteso considerevolmente il territorio europeo controllato da regimi fascisti o bonapartisti borghesi. E un altro tema privilegiato dei BLI fu, ovviamente, l’Unione Sovietica staliniana che, dopo aver presentato in giugno un progetto di Costituzione definita "la più democratica del mondo", inaugurò il 19 agosto 1936 il primo dei tre grandi processi-farsa mediante i quali Stalin fece assassinare, sulla base di accuse farneticanti inventate di sana pianta, quasi tutti i principali esponenti della Vecchia Guardia bolscevica. Molto più limitata fu invece l’analisi della politica seguita in quel periodo dal fascismo italiano.

Un’attenzione particolare fu ovviamente dedicata alla critica politica del PSI e del PCdI, la cui concezione dell’"unità organica" dei partiti della classe operaia venne duramente attaccata, nell’articolo di apertura del primo numero del Bollettino d’Informazione, in quanto terreno di incontro delle burocrazie conservatrici socialdemocratica e staliniana sulla base dell’abbandono definitivo di qualsiasi velleità rivoluzionaria a favore della pace sociale e del mantenimento dello status quo. A questa politica riformista-borghese dei due principali partiti operai italiani, i BLI contrapposero una decisa riaffermazione dei principi classisti del marxismo autentico: rifiuto di ogni forma di unità nazionale e di collaborazione tra le classi, e denuncia dell’assurda politica di "guerra per la pace" sostenuta dal leader socialista francese Léon Blum, che significava mantenimento dell’ordine capitalista e guerra contro chiunque minacciasse la pace borghese realizzata con il trattato di Versailles. Contro il fascismo e contro la minaccia di un nuovo conflitto mondiale imperialista – della quale l’attacco all’Etiopia e la guerra di Spagna non erano che le prime, minacciose avvisaglie –, i trotskisti italiani sottolinearono la necessità di una lotta rivoluzionaria per farla finita una volta per tutte con il sistema capitalista, vero terreno di coltura della reazione e della guerra.

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I due numeri del Bollettino d’Informazione che vengono qui riproposti segnarono – per quanto ne sappiamo – l’ultimo tentativo effettuato dai bolscevico-leninisti italiani degli anni Trenta di dotarsi di un proprio organo di stampa. Il lettore non mancherà di notare che molti degli articoli più lunghi sono anonimi. Probabile frutto di discussioni collettive svolte in seno all’organizzazione, essi furono verosimilmente redatti dall’una o dall’altra delle due penne più prolifiche: quelle di Tresso – al quale sono quasi certamente attribuibili gli articoli "Contro corrente. Unirsi sì, ma con chi e per che cosa?" (infra, pp. 7-10), "Il processo Guido Beiso si chiude con una condanna dello stalinismo" (infra, pp. 20-23) e "Riconciliazione nazionale e ‘guerra per la pace’" (infra, pp. 39-44) – e Pistone, che soltanto nel caso di un pezzo estremamente breve utilizza uno dei suoi pseudonimi: "S.E." (cioè "Stelio Erst").

Oltre ai contributi di Trotsky o di Victor Serge, e alle lettere dalla Spagna di Di Bartolomeo e di Lionello che abbiamo già menzionato, il bollettino contiene pezzi di Giovanni Boero (il quale pretendeva di aver scritto la sua corrispondenza "da Torino", anziché dall’esilio francese in cui effettivamente si trovava…), di Angiolo Luchi ("Metallo", 1903-1975) che si firma "Rob." (abbreviazione di "Robert") e forse anche – ma in forma anonima – di Salvini e di Alfonso Leonetti (1895-1984), il quale sembra comunque aver svolto un ruolo quanto meno marginale rispetto al gruppo dei BLI.

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Con la pubblicazione del presente numero dei Quaderni Pietro Tresso portiamo a compimento un lavoro intrapreso nel luglio 1995 mediante la ristampa dei due numeri (risalenti al marzo e all’aprile 1934) del giornale La Verità, "Organo della Sezione Italiana della Lega Comunista-Internazionalista (Bolscevichi-Leninisti)". Il nostro progetto editoriale – basato su un tenace lavoro di ricerca e supportato dalla collaborazione fraterna di alcuni compagni (primi fra tutti, Fausto Bucci e Ilario Salucci) – prevedeva la ripubblicazione dei vari giornali e bollettini prodotti dai trotskisti italiani nel corso degli anni Trenta, dopo la scomparsa del Bollettino dell’Opposizione Comunista Italiana (PCI) che, con i suoi sedici numeri usciti tra il 10 aprile 1931 e il 15 giugno 1933, era stato il più longevo di tali periodici. Di fronte al fatto che tale bollettino fosse già stato reprintato anastaticamente negli anni Sessanta dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano (e poi ancora nel 1977 dalle Edizioni Controcorrente di Roma, sotto il titolo bizzarro All’Opposizione nel PCI con Trotsky e Gramsci), ci sembrava assurdo che gli altri organi del movimento trotskista italiano degli anni Trenta continuassero a restare di fatto sconosciuti.

Al reprint de La Verità fece poi seguito quello dei due numeri (agosto e dicembre 1934) del foglio dei trotskisti dissidenti La Nostra Parola, "Giornale comunista internazionalista". Poi fu la volta dei vari ciclostilati: il primo e unico numero dei Quaderni di Critica Proletaria del novembre 1935; i due numeri (più un supplemento) del dissidente Bollettino "Interno" della Corrente Bolscevico-Leninista Internazionalista del gennaio e febbraio 1936 e l’unico Quaderno del Bolscevismo-Leninismo del maggio 1936. La presente ristampa del Bollettino d’Informazione "Edito dai Bolscevichi-Leninisti Italiani aderenti alla IV Internazionale" (due numeri datati 25 giugno e 7 agosto 1936) giunge ora a completare il nostro progetto.

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Un’organizzazione trotskista italiana – il Gruppo Bolscevico Italiano – continuò a sopravvivere nella Francia degli anni Trenta, ma l’esiguità delle sue forze non le permise di dotarsi di un proprio organo. Ci sarebbero voluti ancora più di otto anni prima che – in condizioni politiche estremamente diverse e, stavolta, sul territorio italiano e non nell’esilio – un gruppo di vecchi militanti bolscevico-leninisti riuscisse a dare alle stampe un giornale in cui venivano rivendicate le posizioni rivoluzionarie, anticapitaliste e antistaliniste, del movimento trotskista. Questo nuovo giornale, L’Internazionale, "Organo bolscevico-leninista per la costruzione del Partito Operaio Comunista della Quarta Internazionale", vide la luce a Bari, nell’Italia meridionale "liberata" dalle truppe anglo-americane, il 5 agosto 1944; e di lì a poco fu rimpiazzato da Il Militante, "Organo del POC bolscevico-leninista, Sezione d’Italia della IV Internazionale", il cui primo numero, stampato anch’esso a Bari, reca la data del 30 ottobre 1944. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.

Febbraio 2002 Paolo Casciola

 

 

 

CONTRO CORRENTE

UNIRSI SÌ, MA CON CHI E PER CHE COSA?

Per i marxisti una volta queste nozioni erano cose comuni: l’unità in sé è una parola vuota. Il popolo in generale, la nazione in generale, l’uomo in generale, sono delle mere astrazioni. Oggi queste verità vanno di nuovo ricordate. Già nel 1847 esisteva a Londra un famoso "Circolo di studio operaio comunista" i cui membri portavano scritto sulla carta di aderenti il motto: Tutti gli uomini sono fratelli. Il "Circolo di studio operaio comunista" fornì i suoi effettivi, com’è noto, a quella che si chiamò "La lega dei comunisti" e di cui certi Marx-Engels redassero un Manifesto che ebbe per motto: PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI. Prima di essere fratelli, gli uomini – insegnarono questi Marx-Engels – sono divisi in sfruttati e sfruttatori. Nessuna conciliazione è possibile finché il mondo rimane [aggiunta a penna: diviso] in sfruttati e sfruttatori, in proletari e capitalisti. Per restituire l’uomo all’uomo, per incominciare un nuovo regno, il regno dell’uomo, occorre unire, in tutti i paesi, i proletari in potenti organizzazioni rivoluzionarie per l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione del socialismo. La pace sociale è una menzogna; l’unione nazionale è un trucco volgare; la fratellanza umana è una bigotteria, un’insegna per coprire la frode e lo sfruttamento capitalista. Guerra agli sfruttatori, guerra alla proprietà borghese, lotta di classe senza quartiere e senza mezzi trucchi. La classe operaia ha bisogno della verità, di tutta la verità per farsi libera essa stessa e per liberare con se stessa tutte le classi oppresse e sfruttate. Da allora, dal 1848, il Manifesto di Marx e Engels portò nel mondo questo grido di guerra di classe, il grido della rivoluzione proletaria contro lo status quo, contro il presente di miseria e di schiavitù borghese. Molti anni passarono. Il capitalismo prosperò. Conquistò nuovi continenti. Milioni e milioni di nuovi assoggettati nelle colonie fornirono lauti guadagni ai banditi capitalisti, i quali lasciarono cadere qualche briciola, sotto la specie di riforme, nelle mani degli operai. Marx e Engels vennero relegati in soffitta. Fu l’ora del revisionismo riformista, che predicò la collaborazione di classe, l’unione nazionale degli sfruttati e degli sfruttatori imperialisti. Il 4 agosto 1914, il precipitare del proletariato nella guerra imperialista del 1914-18 fu la conseguenza di questa politica infame di tradimento e di rinnegamento.

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Lenin e i marxisti rivoluzionari d’ogni paese, lottando "contro corrente", impiegarono tutte le loro forze per strappare la classe operaia all’influenza delle classi borghesi, per dare al proletariato una chiara coscienza di classe, per espellere il riformismo dal seno delle masse lavoratrici e portarle sul terreno della lotta di classe rivoluzionaria. L’opera di Lenin fu coronata dal successo della Rivoluzione d’Ottobre in Russia. Fuori della Russia, il riformismo, la politica del blocco operaio-borghese trionfò sulla politica rivoluzionaria, comunista. E fu la disfatta del proletariato e del socialismo, la salvezza del capitalismo. Ben diverso sarebbe oggi l’aspetto di tutto il mondo, se all’uscita dalla guerra imperialista del 1914-18 il capitalismo, in pieno sfacelo, non avesse trovato nella social-democrazia di tutti i paesi i propri sicuri alleati per vincere gli operai.

Creare in tutti i paesi dei forti e veri partiti comunisti, dei partiti capaci di liberare la classe operaia dalle catene della collaborazione con la borghesia, dal cretinismo parlamentare dei social-democratici e del pacifismo ipocrita; restaurare dappertutto la dottrina e i metodi della lotta di classe, questo fu il compito immenso che l’Internazionale Comunista, sorta nel 1919, si diede sotto la direzione di Lenin e di Trotsky. E l’opera svolta dall’Internazionale Comunista sotto la guida di questi uomini fu veramente gigantesca in tutto il mondo. Che si giudichi ora quello che rimane di questa opera gigantesca, considerando che cosa sono oggi divenuti i Partiti comunisti in ogni paese: i Partiti che erano stati fondati per liberare la classe operaia dalla ideologia e dalla pratica del riformismo, dalla ideologia e dalla pratica della collaborazione di classe, sono divenuti essi stessi oggi i principali puntelli di questa ideologia e di questa pratica collaborazionista nel seno della classe operaia. I Partiti che dovevano liquidare la social-democrazia e dare al proletariato mondiale la coscienza dei suoi compiti rivoluzionari, si sono integrati nel riformismo parlamentare, pacifista, corporativo. E questo, in un periodo della storia in cui le stesse masse, ingannate dalla social-democrazia di destra e di sinistra, sotto la pressione degli avvenimenti di Spagna, di Austria e di Germania venivano abbandonando i metodi del cretinismo parlamentare ed evolvevano verso i metodi del bolscevismo comunista o marxismo rivoluzionario. Dopo aver praticato la nota politica del social-fascismo, presi dal panico davanti alle rovine che essi stessi hanno accumulato con i propri errori, i Partiti comunisti stalinizzati sono oggi arrivati al blocco con la borghesia, cioè sono caduti al basso livello della social-democrazia, prendendo al proprio conto i metodi di collaborazione di classe per combattere i quali essi erano stati fondati. La politica del fronte unico di Lenin e la politica del fronte popolare sono due politiche nettamente opposte. Lo scopo del fronte unico secondo i principi di Lenin era di spezzare la sottomissione della classe operaia alla borghesia, unire cioè il proletariato sul terreno della lotta di classe contro la borghesia. Il fronte popolare è l’opposto: esso porta sotto la bandiera tricolore anche la parte del proletariato che era stata conquistata all’idea del comunismo. In questo modo, il tradimento dei Partiti comunisti stalinizzati si avvera più degradante e più rovinoso per la classe operaia di quello compiuto dalla social-democrazia nel 1914.

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Se vediamo le cause che hanno provocatola bancarotta dei partiti comunisti, finiti nel pantano del collaborazionismo di classe, non è difficile constatare che esse sono molto vicine a quelle che determinarono la bancarotta social-riformista. La formazione di un’aristocrazia operaia, l’esistenza di una numerosa burocrazia sindacale e parlamentare, furono la base della corruzione della social-democrazia, divenuta da Partito di rivoluzione un Partito di pace sociale e di collaborazione di classe. I Partiti comunisti sorsero anch’essi come Partiti della rivoluzione. Ma strettamente dipendenti dal Partito comunista russo hanno finito per subire lo stesso processo di degenerazione che si è verificato nel Partito capo-stipite dell’Internazionale Comunista.

Finché Lenin rimase alla testa del Partito e dello Stato operaio russo, questo non fu mai concepito come uno "stato nazionale" bastante a se stesso (socialismo in un solo paese), ma come una parte dello stato operaio mondiale. La classe operaia russa al potere fu sempre considerata da Lenin come una sentinella avanzata del socialismo internazionale. Nel dar conto del suo operato ai lavoratori di tutto il mondo, Lenin soleva spiegarsi così: fintantocché voi non verrete in nostro aiuto, noi saremo obbligati ad agire in questo o in quell’altro modo. Lenin faceva cioè incessantemente appello alle forze della rivoluzione internazionale. E tutti i problemi russi venivano da lui considerati e risolti in funzione della rivoluzione mondiale.

L’allontanamento di Lenin dalla direzione del Partito e dello stato operaio coincise da una parte con il riflusso del movimento operaio internazionale (fallimento dell’Ottobre tedesco 1923), dall’altra con il ravvivamento delle tendenze e delle forze sociali ostili alla classe operaia prodotto con il passaggio alla Nuova Politica Economica (NEP), specialmente nelle campagne (predominio dei contadini ricchi o kulaki). Da quel tempo, sorsero nel Partito bolscevico due tendenze che sono andate via via accentuandosi, fino ad assumere un carattere nettamente opposto: la tendenza che si appoggiava alla classe operaia e voleva mantenere allo sviluppo della rivoluzione russa il suo carattere proletario, socialista,internazionale (la tendenza bolscevica leninista con a capo Trotsky) e la tendenza che esprimeva la stanchezza e la sfiducia nella rivoluzione internazionale da una parte e dall’altra la pressione dei contadini e degli strati neo-capitalisti sul Partito; la tendenza conservatrice che si è raccolta intorno a Stalin e ha dato vita al sistema del "socialismo in un solo paese". Quest’ultima tendenza, favorita da un complesso di circostanze, è prevalsa sulla tendenza operaia internazionale e sta giungendo ad impiegare contro di essa le armi della violenza.

Il lealismo verso il Partito bolscevico e verso l’Internazionale, mentre prima voleva dire ed era lealismo verso la rivoluzione internazionale, di cui la rivoluzione russa rimaneva il centro d’irradiazione, divenne un lealismo burocratico, formale, meccanico verso la direzione del Partito russo, indipendentemente dalla giustezza della sua politica. Laddove sotto Lenin i problemi russi venivano prima risolti in funzione dei problemi internazionali della classe operaia, il contrario si produsse dopo Lenin, sotto Stalin: i problemi internazionali non sono stati più visti e considerati che in funzione delle soluzioni date ai problemi russi. Così meccanicamente, i partiti comunisti, resi dipendenti verso la tendenza conservatrice nazionale rappresentata da Stalin, hanno finito per perdere di vista il reale processo rivoluzionario anche nei loro paesi e sono via via andati scivolando sul piano della "collaborazione tra capitalismo e socialismo", sul piano della "coesistenza pacifica" del capitalismo con il socialismo: in breve, sul piano dell’abbandono della rivoluzione per la "pace sociale" e lo status quo. Su questo piano, le due burocrazie – la social-democratica e la staliniana, divenute egualmente "conservatrici dello status quo" – dovevano finalmente operare il proprio congiungimento.

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I tempi del riformismo sociale sono però passati da un pezzo e non possono più ritornare. Lo status quo è sempre meno possibile. Contro di esso insorgono in tutto il mondo le forze produttive sociali che cercano di affrancarsi dalle catene del capitalismo. La borghesia si serve ancora in alcuni paesi del "fronte popolare" per spezzare lo slancio delle masse e attutire il loro urto. Ma alla fine il problema si porrà in questi termini irrevocabilmente: o il fascismo o la guerra o la rivoluzione. Per evitare agli altri paesi l’esperienza dell’Italia, dell’Austria e della Germania; per lavorare seriamente alla rinascita del movimento operaio in questi paesi oppressi dal fascismo, oggi come nel 1914, il compito dei rivoluzionari è di rimettersi sulle orme di Lenin marciando "contro corrente".

Niente collaborazione con la borghesia; niente unione nazionale.

Rosso contro tricolore, è ancora la parola d’ordine di oggi.

Fronte unico proletario contro il blocco degli sfruttati contro [sic – leggasi: con] gli sfruttatori.

Unità sì; ma unità degli sfruttati e degli oppressi di tutti i paesi contro gli sfruttatori di tutto il mondo.

I Partiti socialisti e i Partiti comunisti, la II e la III Internazionale si sono oggi egualmente integrati nei blocchi con la borghesia.

La classe operaia per emanciparsi ha bisogno una volta [di] più di avere un proprio Partito indipendente. Questo Partito non può essere costruito che sulla base dell’internazionalismo proletario e della lotta di classe rivoluzionaria.

La Terza Internazionale ha raggiunto nella tomba la Seconda Internazionale.

Per continuale l’opera di Lenin, il proletariato d’avanguardia deve unirsi e lottare oggi sotto la bandiera della Quarta Internazionale.

A questo lavoro faticoso e difficile noi invitiamo tutti i militanti onesti e sinceri che non si lasciano ingannare dalle apparenze e che hanno coscienza dei compiti tremendi che stanno oggi davanti alla classe operaia.

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LA TAPPA DECISIVA

Il ritmo degli avvenimenti in Francia s’è bruscamente accelerato. Prima, occorreva apprezzare il carattere prerivoluzionario della situazione sulla base dell’analisi teorica e dei diversi sintomi politici. Ora, i fatti parlano da soli. Si può dire senza esagerare che in tutta la Francia non vi sono che due partiti i cui capi non vedono, non comprendono o non vogliono vedere tutta la profondità della crisi rivoluzionaria: i partiti "socialista" e "comunista". Si possono, certamente, aggiungere i capi sindacali "indipendenti". Le masse operaie creano ora una situazione rivoluzionaria mediante l’azione diretta. La borghesia teme terribilmente lo sviluppo degli avvenimenti e prende dietro le quinte, tutte le misure necessarie per difendersi, salvarsi, ingannare, reprimere in vista di una rivincita sanguinosa. Soli, i capi "socialisti" e "comunisti" continuano a ciarlare sul Fronte Popolare, come se la lotta delle classi non avesse già distrutto il loro spregevole castello di carta.

Blum dichiara: Il paese ha dato mandato al Fronte Popolare, e noi non possiamo uscire dai quadri di questo mandato. Blum inganna il proprio partito e tenta d’ingannare il proletariato. Gli staliniani (essi si denominano sempre "comunisti") lo aiutano nella bisogna. Infatti, socialisti e comunisti utilizzano i trucchi, le corde e i nodi derivanti dalla meccanica elettorale, per spuntarla contro le masse laboriose nell’interesse dell’alleanza con il radicalismo borghese. L’essenza politica della crisi si esprime nel fatto che il popolo ha la nausea dei radicali e della loro Terza Repubblica. È ciò che tentano d’utilizzare i fascisti. Che cosa hanno dunque fatto socialisti e comunisti?

Si sono fatti garanti dei radicali di fronte al popolo, hanno presentato i radicali come se fossero ingiustamente calunniati, hanno fatto credere agli operai e ai contadini che tutta la loro salvezza fosse riposta nel ministero Daladier. È a questo diapason che fu orchestrata tutta la campagna elettorale. Come hanno risposto le masse? Esse hanno dato un enorme aumento di voti e di mandati ai comunisti, in quanto estrema sinistra. Le svolte e gli zig-zag dei mercenari della diplomazia soviettica non sono compresi dalle masse. Le masse non imparano che nell’azione. Esse non hanno il tempo di fare delle conoscenze teoriche. Quando un milione e mezzo di elettori votano per i comunisti, la loro maggioranza dice a quest’ultimi: Vogliamo che Facciate in Francia ciò che i bolscevichi russi hanno fatto nel loro paese nell’ottobre del 1917. Questa è la volontà reale della parte più attiva della popolazione, di quella che è capace di lottare e di assicurare l’avvenire della Francia. Questa è la prima lezione delle elezioni.

I socialisti hanno quasi mantenuto il loro precedente numero di voti, malgrado la scissione dell’importante gruppo neo[-socialista]. In questa questione anche, le masse hanno dato ai loro "capi" una grande lezione. I neo volevano il cartello a ogni costo, cioè la collaborazione con la borghesia repubblicana in nome della salvezza e il rigoglio della "repubblica". È precisamente su questa linea che si sono scissi dai socialisti e si sono presentati alle elezioni come concorrenti. Gli elettori se ne sono allontanati. I neo hanno subito un tracollo. Due anni fa, abbiamo predetto che lo sviluppo politico distruggerebbe innanzi tutto i piccoli gruppi che gravitavano intorno ai radicali. Così, nel conflitto fra socialisti e neo le masse hanno giudicato e hanno respinto il gruppo che più sistematicamente e più risolutamente, più clamorosamente e più apertamente proponeva l’alleanza con la borghesia. Questa è la seconda lezione delle elezioni.

Il partito socialista non è un partito operaio né per la sua politica, né per la sua composizione sociale. È un partito di nuovi strati medi (funzionari, impiegati, ecc.), parzialmente della piccola borghesia e dell’aristocrazia operaia. Un’analisi seria della statistica elettorale dimostrerebbe indubbiamente che i socialisti hanno ceduto ai comunisti una frazione importante di operai e contadini poveri e in cambio hanno reso [preso?] ai radicali dei gruppi importanti di classi medie. Ciò significa che il movimento della piccola borghesia va dai radicali verso la sinistra – verso i socialisti e i comunisti – mentre dei gruppi della grande e media borghesia si separano dai radicali verso la destra. Il raggruppamento s’opera secondo gli assi delle classi, e non secondo la linea artificiale del "Fronte Popolare". La polarizzazione rapida dei rapporti politici mette in evidenza il carattere rivoluzionario della crisi. Questa è la terza lezione, la lezione fondamentale.

L’elettore ha manifestato, dunque, la sua volontà – nella misura in cui generalmente v’era possibilità di manifestarla nella camicia di forza del parlamentarismo – non in favore della politica del Fronte Popolare, ma contro di essa. Certo, al secondo turno socialisti e comunisti, ritirando le loro candidature in favore dei borghesi radicali, hanno maggiormente alterato la volontà politica dei lavoratori di Francia. Malgrado ciò, i radicali sono usciti dalle prove con le costole rotte, perdendo un buon terzo dei loro mandati. Il Temps dice: "È perché sono entrati nel blocco con i rivoluzionari." Daladier replica: "Senza il Fronte Popolare noi avremmo perduto di più." Daladier ha incontestabilmente ragione. Se socialisti e comunisti avessero fatto una politica di classe, cioè avessero lottato per l’alleanza degli operai e degli elementi semi-proletari della città e del contado contro tutta la borghesia, compresavi anche la sua ala radicale putrida, avrebbero avuto un maggior numero di voti, e i radicali sarebbero ritornati alla Camera con un gruppo insignificante.

Tutti i fatti politici attestano che né nei rapporti sociali della Francia, né nello stato d’animo politico delle masse, non v’è appoggio per il Fronte Popolare. Questa politica è imposta dall’alto: dalla borghesia radicale, dai sensali e dagli affaristi socialisti, dai diplomati[ci] sovietici e i loro servitori "comunisti". Con le loro forze unificate, essi fanno tutto ciò che si può fare con il più disonesto di tutti i sistemi elettorali, per ingannare e illudere politicamente le masse popolari e coartarne la volontà reale. Tuttavia le masse hanno saputo anche in siffatte condizioni mostrare che non vogliono una coalizione con i radicali, ma il raggruppamento dei lavoratori contro tutta la borghesia.

Se, in tutti gli ambienti elettorali, dove socialisti e comunisti si sono messi in disparte in favore dei radicali, fossero state poste al secondo turno delle candidature operaie rivoluzionarie, esse avrebbero raccolto un numero molto rilevante di voti. Disgraziatamente, non s’è trovata un’organizzazione capace di prendere una tale iniziativa. Ciò dimostra che i gruppi rivoluzionari, centrali e locali, restano al di fuori della dinamica degli avvenimenti e preferiscono astenersi e schivarsi laddove occorre agire. È triste. Ma l’orientamento generale delle masse è, malgrado tutto, assolutamente chiaro.

Socialisti e comunisti avevano preparato con tutte le loro forze un ministero Herriot; a rigore un ministero Daladier. Che cosa hanno dunque fatto le masse? Hanno imposto ai socialisti e ai comunisti un ministero Blum. Non è forse un voto diretto contro la politica del Fronte Popolare?

O forse occorre dare delle nuove prove? La manifestazione in memoria dei comunardi, sembra, ha sorpassato quest’anno tutte le manifestazioni popolari, che si erano viste a Parigi. Tuttavia i radicali non avevano e non potevano avere con questa manifestazione il minimo rapporto. Le masse laboriose di Parigi con un istinto politico senza precedenti hanno mostrato ch’esse sono pronte a essere il doppio laddove non sono costrette a soffrire la fraternizzazione ripugnante dei loro capi con gli sfruttatori borghesi. La potenza della manifestazione del 24 maggio è la smentita più convincente, più infallibile di Parigi operaia alla politica del Fronte popolare.

Ma senza il Fronte Popolare, il Parlamento, dove socialisti e comunisti non hanno malgrado tutto la maggioranza, non potrebbe vivere, e i radicali – oh, disgrazia – si troverebbero rigettati "nelle braccia della reazione". Questo ragionamento è in pieno degno degli ipocriti poltroni, che sono alla testa dei partiti socialisti e comunisti. L’impossibilità che ha il Parlamento di vivere è la conseguenza inevitabile del carattere rivoluzionario della crisi. Per mezzo di una serie di furfanterie politiche, si è riuscito a mascherare più o meno bene questa impossibilità di vita, ma questa verrà in luce malgrado tutto domani. Per non spingere i radicali, reazionari fino al midollo delle ossa, "nelle braccia della reazione", bisogna unirsi con i radicali per la difesa del capitale. È in questo e soltanto in questo che risiede la missione del Fronte Popolare. Ma gli operai si oppongono. Il Parlamento non può vivere perché la crisi attuale non offre nessuna uscita nella via parlamentare. E di nuovo, le masse lavoratrici francesi, con il sicuro istinto che le contraddistingue, hanno intuito infallibilmente questo tratto importante della situazione. A Tolone e a Brest, esse hanno dato il primo segnale di allarme. Le proteste dei soldati contro il "rabiot" (prolungamento del servizio militare) costituiva[no] una forma di azione diretta delle masse e la più pericolosa per l’ordine borghese. Infine nei giorni in cui il congresso socialista accettava all’unanimità (in accordo con il parolaio Marceau Pivert) il mandato del Fronte Popolare e trasmetteva questo mandato a Léon Blum; nei giorni in cui Blum si guardava nello specchio da tutti i lati compiendo dei gesti pre-governativi, sorgevano delle esclamazioni dello stesso genere commentate ampiamente negli articoli, in cui menzione era fatta sempre di Blum e non mai del proletariato, proprio in questi giorni un’ondata magnifica, e veramente primaverile, di scioperi ha dilagato per la Francia. Non trovando una direzione e avanzando senza di essa, gli operai hanno effettuato con ardire e sicurezza l’occupazione delle fabbriche dopo l’arresto del lavoro. Il nuovo gendarme del capitale, Salengro, prima anche di prendere il potere, ha dichiarato (proprio come avrebbe[ro] fatto Herriot, Laval, Tardieu, e de La Rocque), ch’egli difenderebbe "l’ordine contro l’anarchia". Questo individuo chiama ordine l’anarchia capitalista. Chiama anarchia la lotta per l’ordine socialista. L’occupazione, benché ancora pacifica, delle fabbriche e delle officine da parte degli operai ha un’importanza enorme e sintomatica. Gli operai dicono: Noi vogliamo essere i padroni degli stabilimenti, laddove fino ad ora non siamo stati che degli schiavi.

Léon Blum, terribilmente spaventato, volendo far paura agli operai, dice: Io non sono Kerensky; e al posto di Kerensky in Francia non verrà Lenin, ma qualche altro. Si può immaginare che il Kerensky russo avesse compreso la politica di Lenin e ne avesse previsto l’arrivo. In effetti, esattamente come Blum, Kerensky faceva credere agli operai che nel caso ch’egli cadesse al potere non si sarebbe installato il bolscevismo, ma "qualche altro". Proprio quando Blum vuol distinguersi da Kerensky, lo imita servilmente. Cionondimeno, è impossibile di non riconoscere che, nella misura in cui l’affare poggia su Blum, questi in realtà apre la via al fascismo e non al proletariato.

Più criminale e più infame di tutte è nella presente situazione la condotta dei comunisti: essi hanno promesso di sostenere a fondo il governo Blum, senza parteciparvi. "Siamo dei rivoluzionari troppo temibili – dicono Cachin e Thorez – i nostri colleghi radicali possono perire di spavento, è meglio che ci mettiamo in disparte."

Il ministerialismo dietro le quinte è dieci volte peggiore del ministerialismo aperto e dichiarato. Infatti, i comunisti vogliono conservare la loro indipendenza esteriore, per assoggettare meglio le masse operaie al Fronte Popolare, cioè alla disciplina del capitale. Ma qui anche un ostacolo si frappone alla lotta di classe. Il semplice e onesto sciopero di massa distrugge irrimediabilmente la mistica e la mistificazione del Fronte Popolare. Esso ha già ricevuto un colpo mortale, e da questo momento non gli resta che morire. Nella via parlamentare non vi è uscita. Blum non inventerà la polvere, perché teme la polvere. Le macchinazioni ulteriori del Fronte Popolare non possono che prolungare l’agonia del parlamentarismo e dare a de La Rocque il tempo per prepararsi a un nuovo colpo, più serio, se…i rivoluzionari non lo sorpassano.

Dopo il 6 febbraio 1934, alcuni compagni impazienti pensavano che l’epilogo sarebbe venuto "domani", e che perciò occorreva fare qualche miracolo. Una tale "politica" non produrrebbe nulla, se non delle avventure o dei zig-zag, che hanno intralciato straordinariamente lo sviluppo del partito rivoluzionario. Non si può ricuperare il tempo perduto. Ma ormai non bisogna più perderne, perché ne resta poco. Ancora oggi non stabiliamo un termine. Ma dopo la grande ondata di scioperi, gli avvenimenti non possono svolgersi che dal lato della rivoluzione o del fascismo. L’organizzazione che non saprà inserirsi nel movimento degli scioperi attuali, che non saprà legarsi strettamente con gli operai in lotta, è indegna del nome di organizzazione rivoluzionaria. I suoi membri farebbero meglio di trovarsi un posto negli ospizi o [nel]le logge massoniche (con la protezione di Marceau Pivert).

In Francia vi sono numerosi individui dei due sessi, ex-comunisti, ex-socialisti, ex-sindacalisti, che vivono in gruppi e gruppetti, scambiano fra quattro muri le impressioni sugli avvenimenti e pensano che il movimento non è scaturito dalla loro avveduta partecipazione, "è ancora troppo presto". E quando verrà de La Rocque, diranno: Ora è troppo tardi. Di pensatori sterili di questa risma ve ne sono parecchi, in particolar modo nell’ala sinistra degli insegnanti. Sarebbe un greve delitto di perdere sia pure un sol minuto per simile pubblico. Le sorti della Francia non si decidono ora né al Parlamento, né nelle sale di redazione dei giornali conciliatori, riformisti e staliniani, né nei cenacoli degli scrittori, dei fannulloni e dei retori. Le sorti della Francia si decidono nelle officine, che hanno saputo, con l’azione, indicare la via di uscita dall’anarchia capitalista verso l’ordine socialista. IL POSTO DEI RIVOLUZIONARI È NELLE OFFICINE.

L’ultimo Congresso dell’Internazionale Comunista, nella cucina eclettica, ha posto assieme la coalizione con i radicali e la creazione dei Comitati d’azione di massa, cioè dei soviet in embrione. Dimitrov, d’accordo con i suoi ispiratori, immagina che si possa combinare la collaborazione delle classi con la lotta delle classi, il blocco con la borghesia e la lotta per il potere del proletariato, l’amicizia con Daladier e l’edificazione dei soviet. Gli staliniani francesi hanno dato ai Comitati d’azione il nome di Comitati di Fronte Popolare, immaginando così di conciliare la lotta rivoluzionaria con la difesa della democrazia borghese. Gli scioperi attuali mandano letteralmente in frantumi questa meschina illusione. I radicali temono i comitati. I socialisti temono lo spavento dei radicali. I comunisti temono la paura degli uni e degli altri. La parola d’ordine dei comunisti non può essere lanciata che da una organizzazione rivoluzionaria, inequivocabilmente fedele alle masse, alla loro causa, alla loro lotta. Gli operai francesi hanno di nuovo mostrato ch’essi sono degni della loro riputazione storica. I soviet sono sempre sorti dagli scioperi. Lo sciopero di massa è l’elemento naturale della rivoluzione proletaria. I Comitati d’azione non possono essere attualmente niente altro che dei comitati degli operai in isciopero, che occupano le officine. Di corporazione in corporazione, di officina in officina, di quartiere in quartiere, di città in città, i comitati d’azione debbono stabilire un reciproco e stretto legame, riunirsi in consulti per città, per gruppi di produzione, per quartieri, per sboccare in un congresso di tutti i comitati d’azione di Francia. È questo che sarà il nuovo ordine e che deve subentrare all’anarchia attuale.

Lì 5 giugno 1936 L. TROTSKY

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LA LIBERTÀ DI PENSIERO IN URSS

(Da una lettera di Victor Serge indirizzata a André Gide)

…Se vi comprendo bene, caro André Gide, il vostro coraggio è sempre consistito nel vivere con gli occhi aperti. Non potete chiuderli oggi su questa realtà – oppure non avreste più il diritto di rivolgere una parola agli operai per i quali il socialismo è più che un concetto: l’opera della loro carne e del loro spirito, il senso stesso della vita.

Condizione del pensiero? Una dottrina scheletrica, vuota di tutto il suo contenuto, duramente imposta in tutti i domini…

La storia rimaneggiata a fondo ogni anni, le enciclopedie rifatte, le biblioteche spurgate per non lasciar traccia alcuna del nome di un Trotsky, sopprimere o infamare altri compagni di Lenin, mettere la scienza al servizio dell’agitazione del momento, farle denunziare ieri la S[ocietà] d[elle] N[azioni (SdN)] come un vile strumento dell’imperialismo anglo-francese, farle proclamare oggi che la SdN è uno strumento di pace e di progresso umano…

Condizione dello scrittore, cioè in definitiva dell’uomo che fa professione di parlare per molti che son privi di voce. Abbiamo visto Gorky rimaneggiare le sue memorie su Lenin per far dire a Lenin, nell’ultima edizione, il contrario di quello che diceva in certe pagine della prima… Una letteratura diretta nelle sue più piccole manifestazioni, un mandarinato letterario ammirabilmente organizzato, grassamente retribuito. Quanto agli altri…

Cosa è accaduto al fratello in ispirito del nostro grande Alessandro Blok, l’autore d’una STORIA DEL PENSIERO RUSSO CONTEMPORANEO, Ivanov-Razumik? Si trovava in carcere quando io ci stavo, nel 1933. È vero, come si afferma, che il vecchio poeta simbolico Vladimir Piast abbia finito per suicidarsi nella deportazione? Grande era il suo delitto: sboccava nel misticismo. Ma eccoci a dei materialisti di diverse sfumature: che cosa è accaduto a Herman Sandomirsky, autore di opere accreditate sul fascismo italiano, condannato a morte sotto il vecchio regime? In quale penitenziario, in quale luogo di deportazione si trascina e perché? Dove si trova Novomirsky, anche egli forzato sotto il vecchio regime, compilatore della prima enciclopedia soviettica, condannato recentemente a dieci anni di campo di concentramento – perché? Si tratta di due vecchi anarchici. E permettetemi che vi nomini anche dei comunisti, combattenti di Ottobre e intellettuali di grande elevatura – mi duole molto di fare i loro nomi: Anychev, a cui noi dobbiamo l’unico SAGGIO STORICO DELLA GUERRA CIVILE, onesto e chiaro, che vi sia in russo; Gorbatchev, Vardine, tutti e tre critici e storici della letteratura. Questi quattro [sic] sospetti di simpatia per la tendenza Zinoviev. Campo di concentramento. I seguenti sono trotskisti, più duramente trattati perché i più fermi, imprigionati e deportati da otto anni: Fedor Dingelstedt, professore di botanica a Leningrado; Grogorio Yakovine, professore di sociologia; il nostro grande e giovane Solntsev è morto in gennaio in seguito a uno sciopero della fame… Mi limito a nominare qui degli scrittori, o Andrea Gide, altrimenti occorrerebbe riempire delle pagine adorne di nomi di eroi. Mi sento umiliato di fare una qualche concessione allo spirito di casta dei letterati, e per questo vi chiedo venia. Cosa fa l’esemplare Bararof, pioniere del socialismo russo, sparito da cinque anni? Dove si trova il fondatore dell’Istituto Marx-Engels, Riazanov? Morto o vivo dopo le sue lunghe lotte nella prigione di Verkneouralsk, lo storico Sukhanov che ci ha prodotto una monumentale STORIA DELLA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO 1917? A qual prezzo paga il sacrificio di coscienza che si esigeva da lui e ch’egli ebbe la debolezza di concedere?…

…La condizione umana? Voi avete la percezione che bisogna arrestarsi…

Può darsi che, caro Andrea Gide, questa lettera amara v’insegni qualcosa. Lo spero. Vi scongiuro di non chiudere gli occhi. Vedete dietro i nuovi marescialli, la propaganda ingegnosa e costosa, le parate, i cortei – vecchio mondo, vecchio mondo tutto questo –, la realtà di una rivoluzione colpita nelle sue opere vive. Fatemi la concessione di riconoscere che non si serve questa rivoluzione tacendone il male e coprendosi il volto per ignorarlo.

Nessuno più di voi rappresenta questa grande intelligentsia d’Occidente che, se ha molto da farsi perdonare dal proletariato per l’incomprensione della guerra del 1914, per aver sconosciuto la rivoluzione russa e i suoi scopi, in tutta la sua ampiezza, per non aver sufficientemente difeso le libertà operaie. Ora che essa si rivolge infine con simpatia verso la rivoluzione socialista incarnata dall’URSS, bisogna pure che essa scelga fra la cecità e la luce. Permettetemi di ricordarvi che non si può servire la classe operaia e l’URSS che in tutta chiaroveggenza. Permettetemi di chiedervi, a nome di quelli che in Russia hanno tutti i coraggi, d’aver il coraggio di questa chiaroveggenza.

VICTOR SERGE

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DOVE STANNO I RINNEGATI?

(FRONTE ROSSO DI CLASSE CONTRO IL FRONTE POPOLARE)

Quando crollano gli organismi politici creati per la difesa del proletariato occorre studiarne le cause, cercarne i rimedi e creare nuovi organi che, poggiando su solide basi e più corretta struttura, possano garantire ai lavoratori la continuità della lotta e la certezza nella lotta finale.

I bolscevichi che, seguendo gli insegnamenti di Lenin, non indietreggiano di fronte ad alcun ostacolo, non s’arrestano nemmeno agli insulti dei nuovi farisei che, mentre guidano a rovescio le forze proletarie, lanciano contro di noi l’insulto di rinnegati e traditori. I vecchi compagni che ricordano la durezza dei primi tempi di propaganda sociale svolta su terreni vergini fra i lavoratori dei campi e che per puro compenso ricevevamo sputi ed insulti dai contadini aizzati dai preti, si sono temprati alle avversità delle forze ostili e non riconoscono altra necessità che di aprire nuovi varchi per far largo al passo cadenzato del proletariato in marcia.

Quando la II Internazionale affondò nel 1914, calpestando i principi di solidarietà di classe, per imporre ai lavoratori l’unione sacra con i profittatori della guerra, noi osammo mantenere intatta la nostra fede d’intransigenza proletaria contro la guerra e fummo accusati di traditori. E l’accusa di traditori ci veniva affibbiata quando, nel dopo-guerra, ci opponevamo alle teorie di legalismo addormentatore proclamate dal socialismo ufficiale ed educavamo il proletariato alle nuove esperienze dei consigli di fabbrica e all’azione di classe. Educammo i lavoratori alla propria difesa, creando le guardie rosse che ben seppero resistere per lungo tempo all’assalto delle orde fasciste e seppero far atti di valore nella loro opera di difesa nel periodo dell’occupazione delle fabbriche. Nel periodo della minaccia del fascismo, mentre Mussolini preparava la Marcia su Roma, il P[artito] S[socialista] I[taliano (PSI)] sperava, come oggi fanno i nostri bravi staliniani, nell’aiuto dello stato borghese e di S[ua] M[aestà] il re Vittorio Appendice:

I SOMMARI DEI DUE NUMERI DEL BOLLETTINO D’INFORMAZIONE

 

Bollettino d’Informazione,

Edito dai Bolscevichi-Leninisti Italiani aderenti alla IV Internazionale,

n. 1, 25 giugno 1936

SOMMARIO:

Contro corrente. Unirsi sì, ma con chi e per che cosa?

LEV TROTSKY, La tappa decisiva (5 giugno 1936)

VICTOR SERGE, La libertà di pensiero in URSS (Da una lettera indirizzata a André Gide)

BOERO, Dove stanno i rinnegati? (Fronte rosso di classe contro il Fronte Popolare)

Occupazione delle fabbriche

Il trotskismo: ecco il nemico

Il processo Guido Beiso si chiude con una condanna dello stalinismo

LEV TROTSKY, Che cosa debbono fare i Bolscevichi Leninisti di Spagna (Lettera a un compa-

gno spagnuolo) (12 aprile 1936)

CORRISPONDENZE:

L., Impressioni di Spagna (Dalla lettera di un compagno del gruppo di Barcellona) (giugno 1936)

CONSENSI E DISSENSI:

Leggendo l’Avanti

Come si costruisce il socialismo in un solo paese

NOTE IN TACCUINO:

Il Fronte Popolare monta la guardia all’imperialismo francese

Comunismo staliniano 1936 e bolscevismo russo 1917 (In una intervista di Kerensky)

"Il fronte della pace con Mussolini"

RECENSIONE:

La nuova Costituzione dell’URSS

ATTI E DOCUMENTI:

OdG presentato da un nostro compagno all’AFIAC di Parigi

Sottoscrivete"

 

 

Bollettino d’Informazione,

Edito dai Bolscevichi-Leninisti Italiani aderenti alla IV Internazionale,

n. 2, 7 agosto 1936

SOMMARIO:

Il Partito Operaio Internazionalista (Sezione della IV Internazionale) agli operai di Spagna

La Spagna al bivio: soviet o fascismo

FOSCO, L’eroismo e la tragedia del proletariato spagnolo (26 luglio 1936)

LEV TROTSKY, La nuova tappa

Riconciliazione nazionale e "guerra per la pace"

I dirigenti dei lavoratori dell’industria convocati a Roma per il giorno 30

CONSENSI E DISSENSI:

S.E., Così parlò Zaratustra

Comunisti, reduci dalle galere e dalla deportazione, è per questo che avete lottato?

Ecco perché la borghesia si congratula con i "comunisti"

Ieri e oggi

Il Fronte Popolare per gli immigrati

E poi ci si parla di diritto d’asilo

Barnum Massimalista (Leggendo l’Avanti del 12 luglio)

ROB., Cronaca delle riunioni in comune fra i gruppi italiani del PCF e la Sezione socialista di

Parigi

ROB., Brevi accenni sul seguito di queste riunioni e su un "incidente"

NOTE IN TACCUINO:

A proposito di patti ginevrini

COMUNICATI:

A proposito di un Consiglio di Cultura