A proposito della recente storiografia sul GULag

 

UNA TESTIMONIANZA “DIMENTICATA”

SULLA VITA POLITICA E SULLE LOTTE

DEI DEPORTATI A VORKUTA

(1946-1953)

 

di Paolo Casciola

 

 

 

 

Il testo che segue è stato originariamente pubblicato sotto il titolo “A mo’ di conclusione: Brigitte Gerland, da Vorkuta all’oblio?” in Brigitte Gerland, La mia vita nei campi di lavoro sovietici (1946-1953), «Quaderni Pietro Tresso», n. 45, gennaio-febbraio 2004, pp. 47-50. 

 

 

 

 

All’inizio era Vorkuta: in questa importante regione mineraria ricca di carbone della Re­pubblica di Komi, luogo di deportazio­ne situato al di là del Circolo Polare Artico, circa cin­quecento bolscevico-leni­nisti − cioè militanti trot­skisti dell’Opposizione di Sinistra sovietica − ingaggiarono la prima grande batta­glia contro il re­gime staliniano nel cuore stesso del fami­gerato sistema del GULag. Giunti in quel campo di lavoro nel corso dell’estate 1936, il 27 ottobre essi organizzarono − dopo il primo grande processo orchestrato a Mosca sotto la guida di Stalin nell’agosto 1936 contro esponenti della vecchia guardia del calibro di G.E. Zi­nov’ev, L.B. Kamenev e I.N. Smirnov, “giusti­ziati” con un colpo di rivoltella alla nuca al termine di quella farsa giudiziaria insieme a tutti gli altri imputati −, uno sciopero della fame che durò per ben centotrentadue giorni. La lotta coinvolse anche deportati di diversi orienta­menti poli­tici (anarchici, menscevichi, social-rivoluzionari…) e si estese a tutta una serie di campi di la­voro vicini (Pečora, Kočmes, Čibju, Ižma, Kožma, ecc.), concludendosi poi nel marzo 1937 dopo che il Commissariato del Popolo agli Affari Interni (NKVD) ebbe accet­tato di soddi­sfare le loro rivendicazioni.

Ma poche settimane dopo, a partire dalla fine di marzo, il NKVD scatenò un’ondata re­pressiva che portò all’uccisione, con il classico colpo di pistola alla nuca, di centinaia di de­portati che avevano preso parte allo sciopero. Le “liquidazioni fisiche”, come si diceva allora, dura­rono per tutto il mese di aprile e si protrassero fino agli inizi di maggio del 1937, data in cui furono tra l’altro as­sassinate, sempre a san­gue freddo, le com­pagne dei principali dirigenti di quella lotta.[1]

Nei mesi e negli anni successivi la regione di Vorkuta fu teatro di altre battaglie: due scio­peri della fame orga­nizzati, rispettivamente, nel corso del 1937 da centosettanta trotskisti nella miniera n. 8 e nel 1939 da un centi­naio di deportati (quest’ultimo sciopero si protrasse per venticinque giorni); uno sciope­ro di protesta nel campo 503-strojka, sulla strada Igarka-Vorkuta, scatenato nel 1947 per protestare contro il cattivo trat­tamento inflitto ai deportati dal capo del campo (lo sciopero venne represso dall’amministrazione del campo con l’aiuto dei detenuti comuni e si concluse con la fucilazione degli or­ganizzatori); uno sciopero di sei giorni sviluppatosi nel 1949 nel campo di Inta, a sud-ovest di Vorkuta, che era stato creato nel novembre 1941.[2] I prigionieri avevano inoltre cerca­to di organizzare uno sciope­ro di massa nel 1951,  e la direzione aveva suc­cessivamente affermato  di aver scoperto non meno di cin­que “organizzazioni rivoluzionarie” tra il 1951 e il 1952.[3]

 

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Lo sciopero iniziato nel Rečlag di Vorkuta il 20 luglio 1953 non nasceva quindi dal nulla, ma si collo­cava in un certo qual modo sulla scia di quelli che lo avevano preceduto, sia Vor­kuta che in altre isole dell’“arcipelago GU­Lag”, quasi a voler dare una − peraltro estrema­mente difficile, date le condizioni − conti­nuità alle battaglie degli anni precedenti.

Le origini dello sciopero vanno ricercate in un insieme di motivazioni. Pare che i detenuti, potendo segui­re le trasmissioni radio occidentali su apparecchi rubati o ottenuti in prestito, fossero immediatamente venuti a sapere della morte di Stalin (5 marzo 1953), dell’amnistia promulgata dal Soviet Supremo dell’URSS (27 aprile) − provvedimento che non veniva esteso ai detenuti politici −, dell’arresto di Lavrentij Be­rija (26 giu­gno) e, al di fuori delle frontiere sovieti­che, dell’ondata di scioperi operai che era divampata a Berlino Est (17 giu­gno), successivamente soffo­cata dai carri armati sovietici: “Sembra che questa notizia avesse elettrizzato i detenuti: se i berlinesi erano scesi in sciopero, anche loro potevano farlo.”[4]

La testimonianza di Brigitte Gerland (Dresda, 4 maggio 1918–Berlino, 27 aprile 1962) che pubbli­chiamo in questo numero dei Quaderni Pietro Tresso trascura com­pletamente l’importanza dell’“esempio berlinese” nello scatenamento degli scioperi di Vorkuta, al quale avrebbe dovuto essere invece estremamente sensibi­le, essendo di nazionalità tedesca. Del re­sto non le si può certo fare una colpa per questa omissione, sicu­ramente del tutto involontaria: ai detenuti meglio in­formati era impossi­bile garantire che le notizie provenienti dall’esterne raggiungessero unifor­memente e senza frammenta­rietà i vari campi minerari di Vorkuta.

Va detto, però, che il resoconto di Brigitte Gerland non è esente da lacune ed errori. Ad esempio, essa si conclude con l’affermazione secondo cui, stando a quanto affermato da alcu­ni tedeschi ex de­portati a Vor­kuta, lo sciopero iniziato il 20 luglio 1953 si sarebbe protratto, in certi pozzi mi­nerari, fino al novembre di quell’anno.[5] E il fatto che questa dichiarazione della Gerland non risponda a verità − lo sciope­ro si concluse infatti nei primissimi giorni di agosto − è stato preso a pretesto da Andrea Graziosi per avvalorare in modo del tutto malevolo l’idea di una sua presunta “inaffida­bilità”, alla quale egli ag­giunge poi la “faziosità” do­vuta all’adesione della giornalista tedesca alle idee trotski­ste:

 

Il resoconto della Gerland (…) appare irrimediabilmente viziato da una faziosità che la porta ad attribuire ai soli “studenti lenini­sti”, un microscopico gruppetto arrestato a Mosca nel 1948-49, l’idea di uno sciopero di massa dei detenuti. La Gerland inoltre, tra­sferita prima della fine dello sciopero, fornisce molte notizie inesatte, tra le quali quella relativa ad un prolungarsi dello sciopero fino a novembre.[6]

         

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Ci permettiamo, a questo punto, di aprire una breve parentesi sui rapporti della Gerland con il movi­mento trot­skista della metà degli anni Cinquanta o, per meglio dire, con la tenden­za trotskista “ortodos­sa” capeg­giata dalla maggioranza delle sezioni francese (diretta da Pierre Lambert), britannica (diretta da Gerry Hea­ly) e statunitense (diretta da James P. Cannon) che nel novembre 1953 si erano distac­cate dalla Quarta In­ternazionale dopo che questa ebbe adottato, a partire dal 1951, tutta una serie di posizioni centriste-liquida­zioniste sotto la dire­zione del suo segretario mondiale, il greco Michel Rapts (“Pablo”).

Sul finire di gennaio del 1955 il dirigente del Socialist Workers Party (SWP) statunitense Morris Stein − pseudonimo adottato dal veterano trotskista Morris Lewit − scrisse al dirigente del Parti Communiste Inter­nationaliste (PCI) francese Gérard Bloch per informarlo che l’organo del SWP, The Militant, stava pubblican­do la traduzione inglese della serie di articoli di Bri­gitte Gerland che continuavano ad apparire a puntate sulle pagine de La Vérité. Stein chiedeva tra l’altro quali fossero i rapporti dell’autrice con i trotskisti france­si.[7] Nella sua rispo­sta, Bloch spiegò al pro­prio interlocu­tore che:

                  

Brigitte è completamente dalla nostra parte, ovviamente con le caratteristiche proprie di una personalità forte e originale. L’essenziale della sua formazione ha avuto luogo a Vorkuta, il che è eccellente sotto molti aspetti ma comportava natural­mente alcuni limiti. Dopo il suo rientro in Europa occidentale, ella era alla ricerca di militanti rivoluzionari paragonabili a quelli che aveva conosciuto laggiù, e questa è la ragione per cui a partire dal mo­mento in cui ci ha trovato abbiamo avuto subito un linguaggio comune (…).

Il caso ha voluto che un vecchio militante del nostro partito l’avesse conosciuta in Germania nel 1943, la qual cosa ha reso più veloce un incontro che, ad ogni modo, era nella natura delle cose. Le discussioni che abbiamo avuto allora con lei le hanno permesso di allargare in tutte le direzioni in cui era necessario i punti di vista neces­sariamente limitati che aveva por­tato con sé da Vorkuta (…). Gli articoli di Brigitte,  che lei ha scritto  senza che dovessimo mai discuterne una sola parola,  sono d’altronde una prova sufficiente della chiarezza e della maturità del suo pensiero politico.[8]

 

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Tornando al lavoro di Graziosi − che ha comunque il merito di essere uno dei rari autori ad oc­cuparsi an­che della testimonianza della Gerland −, è chiaro che egli preferisce, in fatto di affidabilità, i resoconti del medi­co comunista tedesco Joseph Scholmer[9] − la cui lettura è indub­biamente essenziale per uno studio dello sciope­ro di Vorkuta del luglio-agosto 1953 − e del nazionalista polacco Edward Buca.[10] Tutta­via quest’ultimo si attribui­sce tra l’altro un ruolo dirigente nello sciopero alla miniera n. 29 di Vor­kuta, ruolo che è stato recentemente messo in dubbio dal momento che Buca sopravvisse a quella lotta mentre “i veri pro­motori degli scioperi furono poi quasi tutti fucilati”.[11]

In ogni caso le testimonianze di Scholmer e della Gerland sullo sciopero di Vorkuta furono le prime ad essere rese note al vasto pubblico in Occidente, a pochi mesi di distanza dallo sciopero stesso. An­che, e forse soprat­tutto, in questo risiede la loro importanza.[12] Eppure quasi le fonti posteriori ai primi anni Ottanta da noi consultate relative alla storia del GU­Lag, e in particolare al Rečlag di Vorkuta e, più specificamente, agli scioperi del 1953, non citano la testimonian­za della Gerland, che era stata resa pubblica non soltanto attraverso la serie di articoli de La Vérité, ma anche un volume coevo della stessa Gerland[13] e in una serie di inter­venti radiofonici e di articoli da lei redatti e proposti da vari periodici borghe­si e non negli anni Cin­quanta, tra cui ricordiamo il già citato Socialističeskij Vestnik mensce­vico e il quoti­diano londinese The Ob­server, dal quale Tony Cliff trasse la seguente citazione:

                  

Il 20 luglio 1953, settemila detenuti rifiutarono di lavorare alla miniera n. 1. Il 25 luglio, tutte e cinquanta le miniere erano in sciopero. I treni che trasportavano il carbone, che in precedenza marciavano in una catena senza fine, erano scomparsi. Duecentocinquantamila detenuti − tutta la popolazione attiva delle miniere e metà del numero totale di abitanti di Vorkuta − avevano aderito allo sciopero. (…) Il 1° agosto, 120 dirigenti dello sciope­ro vennero uccisi. Ma lo sciopero continuò ancora.[14]

        

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Col passar del tempo un sempre più pesante velo di oblio ha continuato a ricoprire le testi­monianze della Ger­land, che viene sistematicamente ignorata nelle pubblicazioni più recenti sul GULag apparse in Italia e all’estero. Infatti il resoconto della Gerland è tra l’altro com­pletamente trascurato in un libro cu­rato da Mar­cello Flores e Francesca Gori,[15] e segnatamen­te nella bibliografia stabilita da Hélène Ka­plan.[16] Lo stesso dicasi per l’ultimo nume­ro degli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,[17] e in particolare per i saggi di Irina Ščerbakova[18] e della stessa Kaplan,[19] nonché per la lunga bibliografia che a quest’ultimo sag­gio fa seguito. E la Gerland viene ugualmente dimenticata nel già citato lavoro della Apple­baum e in altri volumi, peraltro pregevoli,[20] usciti negli ulti­mi anni a proposito del GULag, come quelli di Jean-Jacques Marie[21] e di Tomasz Kizny, che pure contie­ne un intero capitolo consacrato a Vor­kuta.[22]

Ci auguriamo vivamente che la nostra “riscoperta” contribuisca a far uscire gli scritti della Gerland − quali che siano le sue lacune e i suoi errori, verosimilmente commessi in piena buona fede, basati com’erano sulle “voci” che circolavano nei vari campi minerari durante lo sciopero − dall’oblio a cui è stata condannata dalla più recente storiografia sul sistema del GULag, restituendole il posto che le spetta nel panorama della memorialistica degli ex de­portati, troppo spesso limitata quasi esclusiva­mente alle fonti di lingua russa.

                

Firenze, 31 marzo 2004                                                                                     Paolo Casciola

 

 



[1] Si vedano in proposito la testimonianza anonima di “M.B.” pubblicata a New York nel numero dell’ottobre-novembre 1961 dell’organo dei menscevichi russi in esilio Socialističeskij Vestnik, una cui traduzione inglese è apparsa, sotto il titolo “Trotskyists at Vorkuta. An Eyewitness Report”, nell’International Socialist Review dell’estate 1963, e successivamente nell’antologia curata da George Saunders, Samizdat. Voices of the Soviet Opposition, Monad Press, New York 1974, pp. 206-216, e il resoconto sullo sciopero contenuto nel volume di Grigorij Kostjuk, Okajanni roki. Vid Luk’janivskoj tjurmi do Vorkutskoj tragedij (1935-1940 rr.), Dijalog, To­ronto 1978; una traduzione francese delle pagine riguardanti lo sciopero di Vorkuta del 1936-37 è apparsa sotto il titolo “Les années maudites”, Quatrième Internazionale, a. XXXIX, 3° serie, n. 4, aprile-giugno 1981, pp. 107-116. Cfr. anche la deposizione di Boris Podolak alla sessione pubblica della Commissione Internazionale contro il Regime Concentrazionario, tenutasi a Bruxelles dal 21 al 26 maggio 1951, in Livre Blanc sur les camps de concentration soviétiques, Commission Internationale contre le Régime Con­centrationnaire/Le Pavois, Paris 1951, pp. 67-78.

[2] Per un panorama delle principali lotte nel GULag relative al ventennio 1936-57 rimandiamo alla cronologia pubblicata in appendi­ce a Marta Craveri-Nikolaj Formozov, “La résistance au Goulag. Grèves, révoltes, évasions dans les camps de travail soviétiques de 1920 à 1956”, Communisme, n. 42-44, 2°-4° trimestre 1995, pp. 206-209.

[3] Nikolaj A. Morozov, Osobye lagerija MVD SSSR v Komi ASSR (1948-1954 g.), Komi Knižnoe Izdatelstvo, Sykktyvkar 1998, pp. 23-24.

[4] Anne Applebaum, Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici, Mondadori, Milano 2004, p. 509.

[5] “Luglio: degli scioperi scoppiano in sette dei diciassette complessi concentrazionari del Vorkutlag (sono coin­volti dallo scio­pero i campi minerari numero 4, 7, 12, 14, 16 e 29 e quello della centrale elettrica TES-2, in totale 15.600 detenuti). La principale rivendicazione degli scioperanti è quella di una revisione e una riduzione delle pene per i detenuti politici, e la loro liberazione dai campi. 1° agosto: Lo sciopero alla miniera n. 29 viene represso nel sangue (…).Negli altri campi, la calma viene ristabilita sotto la pressione di minacce, con la forza di persuasione e anche grazie a modesti miglioramenti” (Tomasz Kizny, Goulag, Balland/Acropole, Paris 2003, p. 405).

[6] Andrea Graziosi, “I grandi scioperi del 1953 nei campi sovietici nelle testimonianze di alcuni protagonisti”, Quaderni Pia­centini, n. 8 (Nuova serie), 1983, n. 50, p. 173.

[7] Morris Stein, Lettera a Gérard Bloch, 26 gennaio 1955 (Archivio Paolo Casciola). La richiesta di informazio­ni di Stein era dettata dalle perplessità suscitate nei trotskisti statunitensi dal fatto che altri articoli della Gerland erano apparsi anche sull’organo menscevico Socialističeskij Vestnik diretto da Boris Nikolaevskij. A tale riguardo va detto che nel giugno 1936 Trotsky, al contrario dei suoi seguaci “ortodossi” degli anni Cin­quanta, non aveva esitato a rompere con lo jugoslavo Ante Ciliga precisamente a causa della collaborazione di quest’ultimo con il Socialističeskij Vestnik (si veda in proposito la nostra “Introduzione” ad Ante Ciliga, Come Tito si impadronì del Partito comunista jugoslavo, in Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso, Serie: “Studi e ricerche”, n. 12, febbraio 1989, pp. 7-8). Per una panoramica delle organizzazioni antistaliniste della gioventù sorte in Unione Sovietica durante l’ondata di repressioni degli anni 1948-52 − panoramica in cui non compaiono però gli “studenti leninisti” di Mosca menzionati dalla Gerland, che diedero poi vita al gruppo Istinna Trud Le­nina (ITL) −, si veda il cap. 11 (“La nascita del movimento giovanile antistali­nista”) dello studio di Elena Zub­kova, Quando c’era Stalin, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 133-141. È curioso notare che, a partire dal 1930 e fino agli scioperi del GULag del 1953-55, lo stesso acronimo ITL indicò − pura e semplice coincidenza? − gli Ispra­vitelno Trudovye Lagerija, cioè i Campi di Rieducazione mediante il Lavoro.  Il volume della Zubkova contiene anche un breve ca­pitolo sulle lotte all’interno del GULag a partire dal 1953 (pp. 199-206); sullo stesso argo­mento si sofferma inoltre il cap. 7 (“La résistance au Goulag”) del lavoro di Jean-Jacques Marie, Le Goulag, Presses Universitaires de France, Paris 1999, pp. 96-101.  

[8] Gérard Bloch, Lettera a Morris Stein, Parigi 1° marzo 1955 (Archivio Paolo Casciola).  

[9] Joseph Scholmer, Die Toten kehren zurück, Kiepenheuer und Witsch, Köln-Berlin 1954; di questo volume uscirono rapida­mente edizioni in francese: Las grève de Vorkouta, Amiot-Dumont, Paris 1954, e in inglese: Vor­kuta, Weidenfeld & Nicholson, London 1954; l’edizione americana uscì un anno dopo presso Henry Holt & Co., New York 1955.

[10] Edward Buca, Vorkuta, Constable, London 1976.

[11] A. Applebaum, op. cit., p. 511.

[12] Ricordiamo di passata che la testimonianza della Gerland relativa alla sua amicizia a Vorkuta con il profes­sor Dmitrij Plet­nev, all’epoca ottantenne medico del campo che aveva capeggiato l’équipe di specialisti inviata da Stalin agli inizi di giugno del 1936 per curare Maksim Gorkij (poi misteriosamente deceduto − per avvelena­mento? − il 18 giugno), apparsa sulle pagine del Socialističeskij Vestnik nel giugno 1954, venne ripresa da Ro­bert Conquest, Il grande terrore. Le “purghe” di Stalin negli anni Trenta, Mondadori, Milano 1970, pp. 578-579.

[13] Brigitte Gerland, Die Hölle ist ganz anders, Steingrüben Verlag, Stuttgart s.d. (ma 1954).

[14] B. Gerland, “Russia’s Slaves Reberl”, The Observer, 14 febbraio 1954; citato in Tony Cliff [pseudonimo di Ygael Gluckstein], Stalinist Russia. A Marxist Analysis, Michael Kidron, London 1955. Le cifre fornite dalla Gerland appaiono alquanto esagerate: le fonti ufficiali parlano di una popolazione totale, per tutto il bacino mine­rario di Vorkuta, di 151.147 detenuti al 1° gennaio 1953, e di circa 70 morti e 130 feriti nella sanguinosa repres­sione dello sciopero alla miniera n. 29, il 1° agosto 1953 (si veda T. Kizny, op. cit., p. 405).

[15] Marcello Flores e Francesca Gori (a cura di), GULag. Il sistema dei lager in URSS, Mazzotta, Milano 2003. Questo libro è il catalogo della mostra dal titolo omonimo organizzata dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano (in collaborazione con il Centro Studi Memorial di Mosca e con l’Achivio di Stato della Fe­derazione Russa) e allestita a Torino presso il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà dal 19 settembre al 16 novembre 2003.

[16] Hélène Kaplan, “Bibliografia”, ivi, pp. 209-225.          

[17] Elena Dundovich-Francesca Gori-Emanuela Guercetti (a cura di), Reflections on the Gulag, Feltrinelli, Mila­no 2003.

[18] Irina Ščerbakova, “Remembering the Gulag. Memoirs and Oral Testimonies”, ivi, pp. 187-207.          

[19] H. Kaplan, “The Bibliography of the Gulag Today”, ivi, pp. 225-246.                                                

[20] Ricordiamo ad esempio quello di M. Craveri, Resistenza nel Gulag. Un capitolo inedito della destalinizzazio­ne in Unione Sovietica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003.                                                      

[21] J.-J. Marie, op. cit.                                                  

[22] T. Kizny, op. cit., pp. 371-433.